Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’86, Paolo Rossi era un ragazzo come noi”: in questa frase di una canzone di Antonello Venditti c’è tutta l’essenza di Paolo Rossi. Sì, perché quello che nel Mondiale in Argentina del 1978 cominciò a far parlare di sé e nel 1982 era diventato una specie di eroe nazionale, 4 anni più tardi sarebbe diventato un ragazzo come noi. E in questi 8 anni è compressa tutta la storia del bomber di Prato: martoriato da problemi alle ginocchia, finito nel vortice del calcio scommesse degli anni Ottanta eppure capace di ritagliarsi un’immagine importante nella storia del calcio italiano. L’apice in quel Mondiale di Spagna, in cui se ne stette in disparte fino alle ultime partite, quelle che contano, quando esplose rifilando una tripletta al Brasile, una doppietta alla Polonia e il gol spacca partita alla Germania in finale.

Davvero difficile dire che giocatore fosse Paolo Rossi: non aveva il fisico dell’attaccante di potenza, non aveva la tecnica sopraffina che distingue i predestinati. Usava entrambi i piedi, adoperava la testa per correggere in gol traiettorie scontate eppure in quel Mondiale a un certo punto diventò una sentenza. Perché? Perché forse aveva dentro una dote che non si allena. Si ha semplicemente dentro: quando era appostato nei pressi della porta avversaria non era lui a cercare  il pallone, sembrava quasi che il pallone cercasse lui. Si chiama istinto del gol e non si può descrivere. Punto.

E dopo quel Mondiale che lo consacrò agli occhi del mondo intero non seppe più ripetersi a quei livelli, come se la sorte avesse deciso di dargli quell’opportunità unica, una di quelle che dura un mese ma poi resta nella storia. E tutti, in quel mese di quell’estate spagnola l’abbiamo amato, aldilà del tifo: quella è stata l’ultima Nazionale capace di far innamorare gli italiani. In quella squadra non c’erano juventini, interisti, milanisti e romanisti. Quelli erano semplicemente gli azzurri e dopo non sarebbe stato più così, perché il tifo di parte avrebbe preso il sopravvento e la Nazionale che porta via i giocatori alle squadre di club diventa un fastidio.

Lui però rimase sempre fuori dalle beghe tra tifosi, lui con quei Mondiali 82 si era assicurato il rispetto, l’affetto e la stima di tutti. E quando ai Mondiali di Messico 86 la nostra Nazionale fece fiasco nessuno si permise di coinvolgerlo nel disastro. Non era più un eroe, è vero, ma alla gente continuava a piacere quella faccia da ragazzo in gamba, quella faccia da ragazzo come noi.

Ciao, Pablito.