E’ un album dei ricordi con foto abbastanza recenti quello di Alberto Favero, classe 1982. Alberto, infatti, ha smesso di giocare al termine della scorsa stagione, nelle fila del Flaibano, dopo una splendida carriera che lo ha visto vestire le maglie di Sevegliano (serie D), Pordenone (C/2), Manzanese (Eccellenza e serie D), Itala San Marco (serie D), Sacilese (serie D e Lega Pro), Opitergina (serie D), Kras (Eccellenza e serie D), Maranese (Eccellenza), Tricesimo (Eccellenza) e appunto Flaibano.

A 38 anni poi la decisione di smettere: come è arrivata questa scelta?

«Diciamo che la carta d’identità c’ha messo del suo, ma forse più determinante è stata l’incertezza causata dal Covid. Avevo accettato la proposta di fare l’allenatore in seconda a Manzano, sto facendo il corso allenatori e questo mi ha convinto a terminare la carriera agonistica. Però il pallone mi manca, mi manca eccome».

Di te dicono che sei stato uno dei migliori piedi sinistri che si siano visti in Friuli …

«Beh, non so se sia proprio così. Sicuramente avevo un bel piede sinistro ed una tecnica di base sopra la media. Mi è servita molto, in effetti, visto che l’apporto dal punto di vista dinamico non era proprio il massimo. Diciamo che più che correre io, mi piaceva far correre il pallone. Centrocampista centrale di stampo classico, più portato all’offesa che alla difesa».

Uno dei pezzi migliori del tuo repertorio erano i calci di punizione, è vero?

«Mi piaceva molto battere i calci di punizione e ho sempre cercato anche in allenamento di perfezionare le mie capacità balistiche. Con i calci di rigore, invece, ho sempre avuto un rapporto conflittuale: preferivo farli battere agli altri».

Non è che ne hai sbagliato uno decisivo, magari?

«È vero, ne ho sbagliato uno che poi è risultato decisivo per la retrocessione della mia squadra, ma non è per questo, tant’è vero che dopo quell’episodio ne ho calciati altri. Non so spiegarmi il perché, ma ripeto, ho sempre preferito le punizioni. E il destino, se vogliamo, mi ha ripagato in qualche modo, perché con due calci di punizione nella stessa partita ho contribuito ad una promozione in serie C per un’altra squadra».

C’è un allenatore che ti è rimasto impresso nella tua lunga carriera?

«Non ho mai avuto problemi con i tanti mister che ho avuto, ma se devo fare un nome,beh, non posso che fare quello di Stefano De Agostini: con lui, a Sacile, ho condiviso una magnifica esperienza. Quelli con la Sacilese sono stati anni indimenticabili. Ero probabilmente all’apice della mia carriera e lui mi ha insegnato il calcio a livello emozionale e non è mica una cosa scontata».

Il tuo gol più bello?

«Anche qui c’è la Sacilese di mezzo: si giocava a Chioggia e, naturalmente, l’ho segnato su punizione: pallone collocato in un posizione adatta per la conclusione di un piede destro e invece vado sul pallone e lo colpisco di mezzo collo sinistro. Ne uscì un missile che andò ad infilarsi nel sette!».

I giocatori più bravi che hai visto?

«Nessun dubbio: Mirko Vosca e Neto Pereira. Due fenomeni!».

Il ricordo più suggestivo?

«Il campionato che ho vinto con la Manzanese: stagione memorabile, anche perché in squadra c’era mio fratello Massimo. Vincere un campionato giocando fianco a fianco con tuo fratello è davvero un’esperienza incredibile».

Oltre ad aiutare Vecchiato sulla panchina della Manzanese, cosa fa Alberto Favero?

«Lavoro in un magazzino di fiori recisi e sono impegnato con mia moglie Ludovica a tirare su due splendidi figli: Giovanni e Caterina».

E Giovanni come se la cava col pallone?

«Ha iniziato da poco, è ancora ai Primi calci. Cercherò di dargli qualche consiglio, senza mettergli pressioni e senza condizionarlo. A dire il vero, una cosa nel calcio già gliel’ho imposta: tifare Inter. In quello pretendo che sia come me!».